La prima neve riaccende il dibattito sul Corno alle Scale

Con la prima spolverata di neve sui crinali d’Appennino, si torna a parlare del Corno alle Scale e delle sue piste da sci.

E’ notizia recente che la Regione Emilia-Romagna ha deciso di aumentare il contributo pubblico versato ai gestori degli impianti di risalita. La cifra che questi potranno richiedere, in base alla legge regionale 17/2002, per le spese energetiche e d’esercizio passa dal 50% al 75% dell’ammontare complessivo del progetto.

Non ci interessa qui discutere dell’opportunità di tale provvedimento, ma ci limitiamo a suggerire alcune considerazioni.

  • L’anno scorso, l’Emilia-Romagna ha speso 3 milioni di euro «per la qualificazione delle stazioni invernali e del sistema sciistico». Di questi, 896 mila come contributo per le spese di gestione e manutenzione degli impianti (126mila per il comprensorio del Corno alle Scale, più altri 75 mila per interventi di altro genere).
  • Negli anni passati la Regione ha riversato sul Corno alle Scale, in media, tra i 300 e i 700 mila euro all’anno. Per la precisione:
    • 4 milioni e 719 mila euro, nel periodo 2003 – 2016, per lavori, sistemazioni, rifacimenti, adeguamenti e investimenti.
    • 544 mila euro, nei quattro anni 2012 -2015, come contributo per le spese correnti (elettricità, carburante, materiali).
    • 250 mila euro all’anno, a partire dal 2010, per la manutenzione ordinaria.
  • La proposta di modifica della legge regionale non si limita a «coprire» l’attuale crisi energetica, ma è in via definitiva «visto che il costo per i consumi di elettricità è andato progressivamente aumentando in ragione della incidenza significativa su tali costi del funzionamento degli impianti di innevamento derivante da una modificazione dell’andamento delle precipitazioni nevose».
  • Nell’ordine del giorno presentato a luglio scorso dai consiglieri regionali Facci, Catellani, Delmonte, Pelloni e Bargi si precisa che «la produzione di neve arriva a costare tra gli 11 e i 15mila euro per ettaro, a seconda dell’esposizione e della natura del terreno, del sole, della dislocazione dei bacini di approvvigionamento d’acqua.»
  • L’anno scorso, nonostante i contributi regionali, la stazione sciistica del Corno alle Scale ha chiuso il bilancio in passivo con una media di sole 375 presenze al giorno e impiegando stabilmente poche decine di lavoratori.

A fronte di tutto questo, sembra davvero assurdo che qualcuno insista per allargare il comprensorio del Corno, aggiungendo una nuova seggiovia che servirebbe a collegarlo con il versante toscano, secondo quanto ha (finalmente!) dichiarato in maniera inequivocabile Mattia Santori, in un’intervista per il Corriere di Bologna (sulla quale torneremo).

In Appennino, il turismo invernale basato sullo sci da discesa non è mai stato una miniera d’oro, casomai di zinco, ma a prescinde dal minerale che si vorrebbe estrarre, è chiaro che si sta esaurendo, per ragioni climatiche e culturali. Un imprenditore serio, di fronte a una miniera simile, studierebbe piani di riconversione, invece di alimentarla in maniera artificiale, tenerla in vita con soldi pubblici e allargarla in cerca di nuovi giacimenti, col solo risultato di devastare il territorio, a scapito di altre attività.

Senza contare che anche l’ampliamento della stazione del Corno verrebbe finanziato con soldi pubblici: una cifra ormai molto superiore, come abbiamo segnalato, rispetto ai 5,8 milioni di euro previsti dal progetto iniziale.

Il consigliere regionale Michele Facci ha risposto ai nostri calcoli sostenendo che l’aumento andrebbe imputato «a coloro i
quali, da tre anni a questa parte, stanno ostacolando la realizzazione delle opere» con «un’opposizione strumentale e talebana» senza la quale «l’opera sarebbe già stata realizzata».

Che dire? Saremmo davvero lusigati di aver raggiunto un obiettivo simile, ma purtroppo non è così. La nostra opposizione talebana è consistita in articoli come questo, convegni, manifestazioni, assemblee che di certo non hanno ritardato di un minuto la costruzione della nuova seggiovia Polla – Scaffaiolo, limitandosi a informare i cittadini. Inoltre, abbiamo esercitato un nostro diritto, promuovendo un ricorso al TAR perché ci risulta che la realizzazione di un nuovo impianto avrebbe bisogno di una Valutazione di Impatto Ambientale, che non è stata fatta. Tuttavia, chi ha seguito il dibattimento sa bene che il TAR non ha bloccato alcun cantiere, anzi ha respinto la nostra richiesta di sospensiva del progetto, procedendo poi a ulteriori verifiche, su indicazione del Consiglio di Stato.

Il Comune di Lizzano, da parte sua, non ha mai interrotto l’iter autorizzativo, ha convocato la conferenza dei servizi e ha deliberato una serie di modifiche al progetto iniziale. Se i lavori non cominciano non lo si deve fin qui alla nostra opposizione, ma alle difficoltà incontrate dal comune nel gestire il progetto e soprattutto nel tener conto delle osservazioni e prescrizioni che sono state proposte dai soggetti interessati, in sede di conferenza dei servizi. Alcuni di questi soggetti, infatti, hanno approvato con riserve la costruzione della nuova seggiovia: e sono queste riserve a rallentare la redazione di un progetto esecutivo, nonché, come abbiamo sottolineato, l’aumento dei costi di cantiere – che però certo non dipende dagli oppositori.

Questa è la realtà, al di là dell’immagine patinata e scintillante che si vorrebbe dare della stazione sciistica. Una stazione dove – esulta Mattia Santori – il prezzo dello skipass resterà invariato (visto che in buona parte, con le casse della Regione, lo paghiamo tutti quanti, anche chi non scia o preferisce andare altrove). E infine una stazione addirittura carbon free, grazie alle emissioni di CO2 compensate da «un progetto di rimboschimento nella regione del Cerrado, in Brasile». Come dire che una persona violenta continua a picchiare i suoi vicini ma poi “compensa” le sue malefatte curando un tizio a Rio de Janeiro. Una logica, quella delle compensazioni, che finisce per consentire di inquinare a chi se lo può permettere, comprando e piantando alberi da qualche altra parte. Basta pagare e il gioco è fatto. Ma in questo caso, come abbiamo visto, non è nemmeno un pagare di tasca propria.

La riforestazione è senza dubbio una buona idea, ma non può diventare l’alibi per aumentare le emissioni che alterano il clima: «tanto poi piantiamo gli alberi!». Quelle emissioni vanno ridotte, non compensate. Inoltre, creare nuovi boschi non è sempre un’iniziativa lodevole: proprio i progetti di riforestazione del Cerrado hanno ricevuto critiche puntuali, anche sulla prestigiosa rivista Science, perché quella regione del Brasile è una savana, da qualche milione di anni, e trasformarla in una foresta avrebbe effetti devastanti sulla biodiversità, senza reali vantaggi per quel che riguarda l’abbattimento dell’anidride carbonica.

«Riforestare il Cerrado» diventa allora un esempio di greenwashing da manuale, una foglia di fico verde per coprire ciò che verde non è, ovvero un inutile aumento del consumo d’energia. D’altra parte, i sostenitori di un ampliamento del comprensorio sciistico del Corno alle Scale, ci hanno abituato da tempo alle “foglie di fico”: come quando tirano in ballo i disabili, per dire che il nuovo impianto permetterebbe loro di raggiungere il lago Scaffaiolo. Peccato che proprio la Federazione Italiana Superamento Handicap, con una lettera alla Regione, si sia dichiarata contraria a quel progetto, invitando a non parlare dei disabili senza prima coinvolgerli. Ciononostante, quella lettera è stata ignorata: coloro ai quali era indirizzata continuano a strologare di disabilità, mentre la stampa e gli organi di informazione non le hanno dedicato nemmeno una riga.

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